Avevamo letto sul mitico National Geografic di un piccolo regno dal nome strano, in mezzo alle nuvole, alle pendici dell’imponente catena Himalyana. il Bhutan sarebbe stata la nostra avventura, i primi italiani e tra i pochissimi al mondo ad attraversare in bici un angolo misterioso dell’Asia meridionale, popolato da 700 mila anime.
L’organizzazione del viaggio è;subito molto difficile perchè; il paese ha aperto le porte al turismo solamente nel 74 con una rigida politica di controllo dei visti di entrata (negli ultimi sette anni hanno visitato il paese solo da 15 mila stranieri e contro il turismo di massa il re ha istituito una tassa di soggiorno obbligatoria che va dai 150 ai 200 dollari al giorno).E poi ci sono i problemi di altitudine: superare una sequenza di passi a più di tremila metri sul serio un’impresa difficile.
Raggiungiamo il Buthan con tutti i mezzi di trasporto a nostra disposizione , treno, aereo, e autobus.Il primo contatto con l’avventura a Bagdogra, una piccola e caotica città dell‘India orientale, proprio a due passi dal confine con il Bhutan.
Diario di viaggio
Atterrati nel minuscolo aereoporto, pieno di tanti odori e piccoi indiani incuriositi dalle grosse sacche di tela che contengono le biciclette, incontriamo i nostri custodi buthanesi, mandati dal governo a scotarci lungo tutto il viaggio.
I due ragazzi sono ben riconoscibili perchè stonano nella desolante sala d’attesa; sono molto curati ed indossano uno strato vestito colorato che assomiglia al nostro accapatoio. E’ il loro vestito tradizionale, il kho, lungo fino alle ginocchia ed indossato tanto dai nobili quanto dai contadini. Dopo le presentazioni partiamo in pulmino alla volta di Punthosiling, tipica città di frontiera, dove si mescolano bhutanesi, nepalesi, bengalesi e indiani sempre indaffarati nei loro commerci.
C amminando per le strade salta agli occhi la differenza con la caotica India perchè non c’è nessun veicolo a motore, la gente è poca e il silenzio sovrano. Prima di aprirsi al turismo, il tempo sembrava essersi fermato, conservando intatta una società medioevale in cui i monaci detenevano il monopolio dell’istruzione, i servi della gleba coltivavano la terra delle proprietà feudali e tutti rno dominati dalla gran paura degli spiriti maligni. le prime strade sono state costruite negli anni ’60 e fino ad allora non c’erano luce, telefono, giornale , uffici postali.
E proprio da questa strana città lontana dal progresso, nella regione sud-occidentale del paese, cominciamo una lunga pedalata attraverso il meraviglioso regno himalayano.Il nostro obiettivo di attraversare il Bhuthan fino a Samdrup Jongkhar, tagliandolo in due attraverso 13 tappe corte ma molto impegnative.
In tutto pedaleremo per 1100 km, in un paesaggio che va dai picchi ricoperti di nevi perenni alla giungla seitropicale dei bassopiani. Dopo qualche ora il clima umido e afoso, ecco la prima sofferenza dei tornanti che con pendenze del 10 – 13 per cento ci portano fino alla piccola Bunaka.
Questo piccolo villaggio a nord di Phuntsholing il primo vero contatto con i bhuthanesi, ci assediano al campo base incuriositi e divertiti nel vederci montare e smontare quegli strani oggetti di alluminio. E anche i nostri accompagnatori perdono l’iniziale timidezza grazie alla grande curiosità che ora li anima: la prima volta che scortano turisti così giovani e allo stesso tempo così diversi da loro. La nostra conformazione fisica, ad esempio, li lascia sbalorditi per i peli sul corpo e per la muscolatura molto più grande. In sella, poi, nessuno di loro riesce a governare le bici senza appoggiare i piedi a terra, perchè in Bhuthan non esistono o quasi le due ruote.
Il nostro viaggio continua in direzione nord verso la valle di Paro, famosa per la purezza dell’aria e la completa assenza di rumori. Questa valle si trova a un’altitudine di 2300 metri ed una più belle di tutto il paese: le case sembrano chalet alpini a tre piani, con tetti spioventi coperti di assicelle di pino, ancorate con pietre bianche per resistere al vento.
Si rimane impressionati dalla vivacità dei colori e dalla perfetta assenza ditraffico; solo ogni tanto s’incrocia un vecchio autobus affollato di persone, che ti guardano sorridendo e salutandoti, oppure qualche autocarro sgargiante, con stupende decorazioni dipinte da perttutto.
I pedoni, nei villaggi, camminano canticchiando sul lato della strada, sotto un carico dilegna da ardere e sacchi di riso, le donne portano gli stessi pesi degli uomini, a meno che non abbiano un bambino legato alla schiena con uno scialle. Nella bellissima Paro scopriamo che pur essendo la seconda città del paese per importanza non niente più di un villaggio con tante case sparse per le colline, dominate sul versante orientale da un magnifico Dzong (centro religioso amministrativo).
Oltre le mura di cinta questi Dzong sono una vera e propria cittadina formata da tanti edifici e da una torre centrale(l’uchu) che solitamente ospita il tempio più importante. Negli altri edifici ci sono i templi minori, le abitazioni dei monaci e uffici con funzioni amministrative. A gli stranieri è severamente proibito entrare, se non in occasione dei festivals, o in casi eccezionali è consentito entrare solamente nel cortile centrale. A Paro, una delle città più sacre nel Buthan, vi è uno dei monasteri più importanti: il Pa chu Drugyel Dzong, un antico forte che difendeva le vallate dalle invasioni tibetane.
Di questo monastero, costruito nel 1647, sono rimaste solamente le mura esterne in seguito ad un terribile incendio. Da questo monastero nei giorni di sole si possono vedere alti picchi innevati come l’immenso Jhomo Lhari (7314 m.t.), montagna sacra e ancora virtualmente inesplorata.
In uno dei nostri pochi giorni di riposo abbiamo deciso di tenerci allenati, partendo a piedi da Paro (2300 m.t.), ci siamo inoltrati in un paesaggio di abeti che filtrano la luce del sole tenendola sospesa tra gli alberi come una tenue foschia fino ad arrivare al famoso Taktsang (il nido della tigre) a più di 3000 m.t. di altezza.
Su questo “nido” la leggenda racconta che Guru Rimpoche, il fondatore, arrivò da Tibet sulla groppa di una tigre volante e si fermò nel luogo dove oggi sorge il monastero. Questo “nido” è veramente suggestivo e per raggiungerlo bisogna farsi strada attraverso sentieri stretti e costeggiati da burroni profondi centinaia di metri.
E’ severamente proibito entrare in questo monastero incastonato in mezzo alla roccia a 3100 m.t., dove i monaci migliori vengono a meditare e studiare nelle loro celle isolate per i prescritti tre anni, tre mesi, tre settimane e tre giorni. Incontrando un vecchio monaco, nei pressi del monastero, gli chiedemmo perchè loro meditano per un periodo così lungo di tempo e lui mi rispose:”La meditazione calma la mente, per calmare una fiamma ci si mette un vetro attorno, la meditazione è come quel vetro”.
Questo è il luogo di pellegrinaggio per eccellenza, dove ogni bhutanese si reca almeno una volta nella vita.
Spostandoci ad ovest ad est abbiamo raggiunto Thiumphu attraverso una stretta e tortuosa che si arrampica attorno ad una montagna dopo l’altra. Le strade sono talmente strette che due veicoli contemporaneamente non riescono a passare, e tra il veicolo ed un burrone profondo centinaia di metri a volte ci sono pochi centimetri. Mentre arrivava, su una discesa che domina la città di Thimphu le nubi iniziavano ad addentrarsi e ad inghiottire le alte creste fino ad esplodere, investendoci d’acqua torrenziale che in pochi minuti ci ha mal ridotti. Il monsone in questi posti è inesorabile, tutti i giorni da Giugno a metà di Settembre, colpisce senza pietà per un paio di ore nel primo o tardo pomeriggio.
Thimphu la capitale che con i suoi 15.000 abitanti è la capitale “metropolitana” del Buthan, è una città di recente costruzione, edificata in perfetto stile tradizionale buthanese ed i suoi abitanti sono principalmente civili, commercianti e più raramente agricoltori. Arrivando con le nostre “strane ” mountain bike abbiamo paralizzato la città i bambini , dalle guance rosse come ravanelli, non ci lasciavano passare perchè ci volevano toccare, le donne ci salutavano incuriosite, ma noi non potevamo fermarci a causa del monsone che si stava scagliando si di noi.
Ai due incroci principali, una specie di vigile urbano su un tronco di legno faceva segno ad un traffico completamente inesistente di fermarsi, e a noi, com ampio sorriso di avanzare!!!!!!!
Poco lontano dalla capitale si trova la residenza del giovane Re: Jigme Singye Wangchuck che salì al trono a soli 17 anni (1972), e come il padre, suo predecessore, ha proseguito la politica di sviluppo socio-economica del paese, mantenendo sempre i valori ancestrali e la tradizionale cultura del paese al primo posto per importanza.
Spostandoci verso la parte centrale del paese abbiamo incontrato i primi valichi superiori ai 3000 m.t., come il Dochu La 3050 m.t., da dove si possono scorgere splendide vedute della catena Hymalayana, per poi discendere vertiginosamente di 1700 m.t. fino a raggiungere Punaka, vecchia capitele invernale del Buthan per di più di 300 anni.
Pur pedalando faticosamente su e giù per le montagne per 6 – 7 ore al giorno, in condizioni climatiche ed ambientali così diverse dalle nostre, arrivi alla fine della giornata che sei veramente soddisfatto e rilassato perchè hai avuto modo di apprezzare meglio tutte le cose, anche i più piccoli particolari di questo stupendo paese Uno dei pochi problemi che abbiamo avuto in bicicletta è stata l’alimentazione in quanto la cucina buthanese è molto povera essendo a base di riso , orzo, patate, formaggio, thè e dei peperoncini picantissimi chiamati chilli.
Dopo la prima parte del viaggio ci siamo organizzati meglio, infatti il mitico cuoco Sigye del gruppo, ha iniziato a prepararci un piccolo pasto caldo anche durante la brevissima sosta del mezzogiorno. Il tutto era fortunatamente mixato con gli indispensabili integratori che ci hanno permesso di equilibrare la dieta. Nel distretto di Tongsa, bhuthan centrale, ci siamo arrampicati sulle Black Mountains per circa una quarantina di km, con una pendenza media del 9 – 10 percento, fino ad arrivare allo sperduto villaggio di Nobding a 2800 m.t..
A Nobding ci siamo resi conto che era impossibile campeggiare a causa delle migliaia di sanguisughe che si trovavano in quell’area, quindi mcinato altri 12 kilometri di salita tirata per arrivare ad un altro campo senza le sanguisughe. Eravamo sfiniti, i carichi di lavoro iniziavano a sentirsi sulle nostre gambe, 50 – 60 km di salita in un giorno erano forse pò troppi.
Come in precedenza, anche queso accampamento si è rivelato particolarmente sfortunato, la pioggia torrenziale ci ha accompagnato tutta la notte, senza lasciarci dormire un attimo. Alla mattia se non altro, ci siamo potuti godere un’alba meravigliosa che ci ha permesso di vedere tutta la catena delle Black Mountains. Con le gambe deboli ci siamo inerpicati sul passo Pele La 3300 m.t., tradizionalmente considerato il punto di confine tra l’ovest d il Buthan centrale. La vegetazione, presente anche a questa altitudine ci ha consentito di faticare meno del previsto. In questa parte del paese i pochi vilaggi sono situati in posti sperduti, in mezzo alle montagne, lontani giorni di cammino dalla strada.
Le famiglie di questi villaggi vivono allevando yak, ricavando burro , formaggio e carne essicata. Il distretti più importante del Buthan centrale è sicuramente quello di Bumthang, che fino al 1982 era interdetto ai turisti. Nei tempi passati queste valli erano povere ed isolate, ma, con la costruzione della strada che collega il paese da ovest ad est, l’area ha avuto un significativo processo di sviluppo; di questa regione fanno parte 4 vallate; Chumey, Choekhor, Tang ed Ura. Questo distretto è sicuramente uno dei più poveri e l’isolata valle di Ura ne è un tipico esempio. Gli abitanti si dedicano prevalentemente alla pastorizia: pecore e yaks, e all’agricoltura, basata sulla coltivazione delle patate, veramente di qualità superiore.
Il villaggio di Ura 3100 m.t. è formato da una cinquantina di piccole case in perfetto stile buthanese, arroccato sulla montagna e disposto su vari livelli. Incuriositi da questa piacevole villaggio, ci siamo recati a visitarlo e in un piccolo chiosco che vendeva patate e riso abbiamo conosciuto due incredibili allevatori di pecore, che erano arrivati al villaggio dopo una marcia di tre giorni dal loro campo a 3600 m.t., erano venuti da così lontano per comperare dei peperoncini, del riso e del the: le basi dell’alimentazione buthanese.
La riflessione che abbiamo fatto dopo avere visto questo villaggio a 3100 m.t., isolato per una buona parte dell’anno, è riferita all’orologio alla dignità di questo popolo, che seppur povero, non accetta nessun tipo di elemosina, se non qualche caramella; la loro filosofia di vita è basata sui forti legami familiari e il vero senso dell’amicizia di cui godono l’uno con l’altro. La famiglia media buthanese possiede una casa, del bestiame e un pò di terra.
Il reddito pro-capite annuo è di circa 200 – 250 $, ma lo stile di vita può dirsi più semplicità che povertà. Quando anche adesso penso al Buthan, e questo succede spesso, mi viene sempre in mente il sorriso sincero e profondo della gente, non come il nostro, a volte falso e opportunista. E’ veramente un altro mondo, dal quale noi dovremmo imparare tante cose!!!!!
Da questo piccolo villaggio ci siamo spostati verso la regione orientale, l’ultima parte del viaggio ma sicuramente la più impegnativa. In questa regione il clima è veramente proibitivo e il nostro abbigliamento non si è rivelato all’altezza della situazione. La temperatura era scesa di parecchi gradi sotto lo zero e al confine con la valle di Ura la strada ricominciava ad inerpicarsi per 30 – 35 km fino a raggiungere il temutissimo Thumsing La 3800 m.t., il passo più alto del Buthan.
Durante la scalata la visibilità era quasi nulla a causa della fitta nebbia e della pioggia. La strada era piena di buche e in molti punti il passaggio era ostruito da dei grossi pezzi di roccia caduti dalle montagne; era molto difficile continuare, Karchung la nostra guida era molto preoccupata per la nostra incolumità, ci vedeva in grosso affanno, voleva farci ritornare indietro per rientrare nei giorni seguenti. Dopo un breve scambio di idee abbiamo deciso di proseguire , non potevamo caricare le biciclette sulla jeep proprio adesso!!!!!!
La bicicletta in queste situazioni ti da la forza di continuare, di non mollare per raggiungere l’obiettivo che ti eri prefisso, scendere dalla bicicletta è da un’umiliazione troppo grande da sopportare per un ciclista. Il ciclismo, anche a livello amatoriale, è uno sport umile per persone dal carattere forte, disposte al sacrificio. Per tutti questi motivi la bicicletta è uno sport stupendo: sono le tue gambe, la tua mente, il tuo cuore contro tutto e tutti. Quando abbiamo raggiunto il Thumsing La non ci siamo potuti fermare, per goderci questo meraviglioso momento, a causa delle condizioni metereologiche proibitive. Abbiamo proseguito per 20 Km in discesa fino a Sengor. I 20 Km di discesa, alla fine, sono risultati quasi più impegnativi della saluta a causa del vento gelido e della strada completamente distrutta dalle buche che diventavano sempre più grandi.
Arrivati a Sengor 3000 m.t., sani e salvi, ci siamo dovuti fermare per scaldarci e cambiarci, non riuscivamo più a muovere le mascelle dal freddo.
Dopo aver mangiato una zuppa schifosa ma calda, ci siamo cambiati e siamo ripartiti e dopo altri 20 km di salita dolce ci siamo buttati giù per delle discese mozzafiato in mezzo alla foresta per arrivare dopo circa 30 km al villaggio di Limithan a 600 m.t. di altitudine.
Durante la discesa ci siamo dovuti fermare perchè i freni della bicicletta erano fuori uso a causa dell’enorme quantità di sabbia e fango presente sulla strada peggiorava sempre più, siamo passati in mezzo a delle cascate di acqua che cadevano dall’alto e che si erano formate a causa dell’enorme quantità di acqua che era caduta in quei giorni e che fuoriusciva da tutte le parti. La paura e la stanchezza cominciavano ad aver il sopravvento, il paesaggio intanto cambiava continuamente, da una vegetazione bassa, formata da pini, eravamo passati ad una giungla semitropicale con vegetazione fittissima. Tutto questo ci sembrava impossibile, così tante emozioni così diverse una dall’altra in poche ore, ci sentivamo sperduti in questi paesaggi surreali.
Arrivati al campo di Limithing ci siamo resi conto che quello che era successo era vero e che in 6 ore eravamo passati da 3100 m.t. a 3800, da 3800 a 600 m.t. e da sotto zero a + 30 gradi; il nostri fisico si stava veramente stancando di tutti questi stravolgimenti!!!!!!
La cena di quella sera è stata la più silenziosa di tutto il viaggio, tutti noi stavamo pensando a quello che era successo; eravamo stanchi ed emozionanti. Al calar della luce ci siamo infilati nei nostri sacchi a pelo, pregustando l’idea di un’altra memorabile giornata in una terra forse non perfetta come Shangri La, ma ugualmente emozionate.
Alessandro Guadagni
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